GIOVANNIRISSONE
PSICHIATRA
MANAGER DELLA SANITÀ PUBBLICA E DELL'EMERGENZA
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Giovanni Rissone - Manager della sanità pubblica e dell'emergenza
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Giovanni Rissone - Una vita da matto vestito da dottore

Rassegna stampa su Giovanni Rissone


da La Stampa del 30-05-2001

Un'operazione d'avanguardia. Cinque équipe al lavoro per 24 ore

Una nuova vita per la donna senza volto

Rimosso al Giovanni Bosco il tumore che la devastava

Clicca per scaricare l'articolo originale (formato pdf) Un orecchio "prefabbricato" per ricostruire un volto devastato da un tumore benigno. Per sei mesi Lorenza Milano, 33 anni, cuoca in una scuola materna di Trento, girerà - primo caso in Italia - con un orecchio in crescita su un braccio, in attesa che, al San Giovanni Bosco, le venga ricucito al posto giusto.
È la dimostrazione che, nell'epoca dei trapianti di mani e di braccia, si sta sviluppando sempre più anche la tecnica dell'autotrapianto di piccoli organi. Come non ricordare il naso di ricambio modellato sul polso di un cinquantenne, sette mesi fa al Maria Vittoria? Per la cuoca di Trento, l'intervento si è reso necessario dopo l'asportazione di un grosso angioma che le devastava tutta la parte destra del volto e che le ha fatto correre il rischio di morire soffocata. La malformazione, grande come un melone, aveva completamente invaso l'emivolto destro, premendo su collo e faringe e limitando a tratti la respirazione.
L'operazione è stata difficile e delicata. Per oltre ventiquattro ore - dalle 8 del 3 maggio scorso alle 8.30 del giorno successivo cinque équipe del San Giovanni Bosco - otto medici e quindici infermieri, guidate dal primario di chirurgia Maxillo Facciale Luigi Solazzo - hanno lavorato per restituire la donna a una vita normale. Hanno operato ininterrottamente, alternando fasi di microchirurgia ad altre di macrochirurgia, alla presenza di Fabio Beatrice, primario di Otorinolaringoiatria e dell'aiuto di Neurochirurgia Riccardo Boccaletti.
Gli stessi che un anno fa salvarono un giovane albanese, arrivato a Torino con il viso completamente distrutto da un cancro. Questa volta a rendere particolarmente complicata e pericolosa l'attività in sala operatoria, era la natura arterio-vascolare dell'angioma. "Una massa cavernosa ricoperta da vene e arterie - spiega il dottor Solazzo -. Un groviglio enorme, dalle dimensione di 20 centimetri per 20, per 10 in profondità, da cui si diramavano grossi vasi, dal diametro di quasi 2 centimetri l'uno, che se avessero irrorato eccessivamente l'angioma l'avrebbero potuto far esplodere, causando la morte della paziente".
Gli specialisti hanno dovuto scavare la guancia destra (sostituita da un muscolo e un lembo di pelle della schiena della donna) e la parotide, ghiandola salivare, raschiando su tutti i tessuti della faccia, per evitare la ricostituzione del tumore. Estesa dalla metà destra del collo al vertice del cranio e, in senso orizzontale, dall'occhio all'orecchio destro, la lesione riguardava anche una parte della faringe, una regione dell'arteria carotide interna, della vena giugulare interna e di numerosi nervi cranici. "Ma per fortuna - precisa il dottor Beatrice - non abbiamo dovuto intaccare strutture nobile come laringe e faringe. E tutte le funzioni, udito compreso, sono salve".
Per attenuare l'infiammazione dell'angioma - che negli ultimi tempi aveva già segni di ulcerazione cutanea con episodi emorragici - 48 ore prima dell'intervento chirurgico la donna è stata sottoposta a un trattamento di embolizzazione, eseguito dal professor Gianni Bradac delle Molinette. "In questo modo - spiega il dottor Solazzo abbiamo ridotto il rischio di un accumulo di sangue". Oltre alla ricostruzione della parte destra del viso, i medici hanno intascato nell'avambraccio sinistro della malata la cartilagine dell'orecchio. "Oltre alla cartilagine abbiamo salvato i nervi e i vasi sanguigni - conclude Solazzo -, essenziali per la crescita della cute. Nei prossimi mesi modelleremo il lembo di pelle a forma di orecchio. A quel punto lo impianteremo al suo posto".
[g. lon.]

La chirurgia della speranza. Parla la paziente di Trento

"Solo qui ha trovato un aiuto"

La cuoca: nessun ospedale voleva operarmi

Sorride. Lorenza Milano. Sorride e piega la testa di lato, si mette in posa. Senza neanche un'ombra di imbarazzo per quella parte del viso pieno di punti di sutura. "Sono così felice, come lei nemmeno può immaginare. Della ferita non m'importa assolutamente nulla, quello che conta è tornare a essere quella di prima".
Lorenza ha 33 anni, una bambina di 3, Vanessa, e un marito. Vive a Trento, dove lavora come cuoca nella mensa di una scuola materna. Sul comodino accanto al letto c'è un portaritratti da cui sorride una bella bimba bruna. Vicino alla foto un mazzo di orchidee gialle.
Chi gliele ha regalate?
"Il direttore generale dell'ospedale, il dottor Giovanni Rissone. È venuto a portarmele di persona, con un bigliettino d'auguri che conserverò per tutta la vita".
Perché?
"Qui dentro è cambiata la mia esistenza. Non mi spaventa avere una parte del volto con le cicatrici, ci penserò poi. Con quello che ho passato prima, l'operazione m'è sembrata una passeggiata. Sapevo bene di correre un rischio, i medici mi avevano avvertita, ma ero disposta a tutto, anche a morire sotto i ferri, pur di smettere con quel tormento per avere una possibilità di ricominciare a vivere".
Da quanta tempo soffriva?
"L'angioma m'è venuto quando avevo venti anni. È tredici anni che combatto, anche se all'inizio non mi creava molti problemi perché era piccolo".
E ultimamente perché stava male?
"Quella palla enorme premeva sulla faccia, mi pulsava. Non mi faceva respirare, avevo l'impressione che le vene del collo mi potessero esplodere da un momento all'altro. Per non parlare poi degli altri problemi".
Quali?
"La questione estetica, ma non basta. Non solo avevo mezza parte del viso deformata, ma non potevo neppure espormi ai sole. Le vene mi si gonfiavano tutte e le palpitazioni sulla faccia erano intense come quelle del cuore".
Perché a venuta a farsi operare a Torino?
"Ho saputo dei medici del San Giovanni Bosco dalla televisione. È successo un anno fa, quando avevano operato un ragazzo albanese. Il telegiornale diceva che gli avevano tolto un cancro e gli avevano ricostruito il volto. Così mi sono fatta coraggio anch'io".
Cioè?
"Mi son fatta dare il numero dal 12 e ho telefonato in ospedale. Mi hanno detto di venire a Torino e così ho fatto. Negli ospedali di altre città rifiutavano di operarmi. Dicevano che era pericoloso, che l'angioma poteva scoppiare e io potevo morire durante l'intervento".
In quali città è andata?
"Verona e Roma. Alcuni medici m'avevano consigliato di andare in Francia, meno male che poi è arrivata la notizia del giovane albanese e io ho cominciato a sperare".
In passato era già stata operata?
"Si, ma non si è trattato di interventi chirurgici veri e propri. Venivo ricoverata per alcuni giorni per l'embolizzazione dell'angioma".
Che cos'è?
"Non lo so spiegare con i termini scientifici, ma in pratica mi sparavano dentro la faccia,attraverso una sonda che partiva dall'inguine, delle sostanze che servivano a ridurre il tumore benigno".
Ma lei sapeva che poi si sarebbe riformato?
"All'inizio no. Non me l'avevano detto, o forse non l'avevano capito nemmeno i medici. Non lo, so solo che dopo due o tre mesi io mi ritrovavo di nuovo con la parte destra della faccia gonfia. E ricominciava tutto da capo".
Chi le dava coraggio nei momenti di sconforto?
"Mio marito. Lui adesso è a Trento, ma domenica torno a casa anch'io".
Non le dà fastidio l'orecchio cresce sul suo braccio?
"No, i medici mi hanno detto che posso svolgere una vita normalissima".
Ma nemmeno l'idea dell'orecchio in pasta che non è il suo la disturba?
"Beh, certo è un po' strano. Ma ci sto già facendo l'abitudine. Davvero".

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