Rassegna stampa su Giovanni Rissone
da Il Pellice del 25-03-1987
Se le Usl non funzionano è tutta colpa dei medici?
Certi articoli non fanno bene alla sanità!
Secondo quanto scrive un nostro collaboratore nessuna altra professione come quella medica subisce oggi giorno insulti e critiche ampiamente pubblicizzate.
Quello che accade in ospedale fa sempre "notizia". Due recenti esempi. Si può lavorare solo in ambiente sereno
Da qualche tempo i giornali locali e La Stampa, paiono essere interessati particolarmente al problemi relativi
alle USL e alle sanità in generale.
L'argomento è sempre ambito per i giornalisti che vi trovano notizie interessanti da divulgare
allegramente e per i lettori che scoprono sempre nuovi motivi di discussione e critiche a volte gratuite.
Che le USL non funzionino e che il malanimo ormai regni sovrano tra pazienti, categorie sanitarie e tutti coloro
che hanno a che fare con tali strutture, è assodato e indiscutibile.
Sarebbe perfino preciso risalire alle cause e ritrovare la vera responsabile di questo disastro nella riforma
sanitaria, perverse dispensatrice di amarezze largamente distribuite a tutti.
Ma non è questo il problema sul quale oggi riteniamo utile soffermarci per esaminare un fenomeno ormai
abituale.
Oggi vorremmo esprimere alcuni concetti a favore di coloro che da troppo tempo subiscono ingiustamente un
linciaggio morale, una sorta di sport nazionale esercitato nelle palestre che sono le pagine dei nostri giornali:
i medici. Una categoria di professionisti che nella stragrande maggioranza merita l'encomio per abnegazione e la
serietà dimostrata nello svolgimento di una attività tutt'altro che facile.
Nessun'altra professione subisce oggi giorno insulti e critiche tanto più pesanti quanto più
facilmente approdati sulle pagine dei giornali dove trovano grande credito (il caso medico, si sa, fa sempre
notizia).
Proprio per la difficoltà della discipline e per l'intrinseca inesperienza in materia medica degli
scriventi, le argomentazioni vengono trattate con scalarità decrescenti.
Il titolo dell'articolo, spesso "succoso", che attira l'attenzione del lettore è frequentemente altisonante
e poco definito.
Esso poi è seguito della dissertazione sul caso, che il più delle volte riporta notizie imprecise o
anche assurde, sviluppando senza proprietà di termini, che lasciano quindi grande spazio a conclusioni poco
obiettive e che mai indulgono ad atteggiamenti esplicativi di corretta informazione.
Poiché nella grammatica italiana il modo del verbo all'indicativo afferma ed indica in modo certo ciò
che è stato annunciato, non è quello più usato.
In tali argomenti infatti, specie ai profani, è molto difficile esplicare in modo certo ed inconfutabile
ciò che è avvenuto.
È invece il modo al condizionale quello che più viene usato, perché esso lascia sempre grande
spazio al dubbio e tutela lo scrivente da affermazioni troppo compromettenti.
Altre volte, sarà il punto interrogative il grande salvatore della redazione che con questa piccola
notazione grafica può evitare il rigore della legge e l'ira degli interessati.
Al di là di queste scappatoie e dei problemi legali, è tuttavia indubbio che il lettore, più o
meno affrettato, non sottilizza e la rapida lettura dell'articolo senza possibilità di verifica può
essere seguita da una superficiale riflessione che si conclude con il discredito o l'incomprensione negativa sul
sanitario interessato.
Tale metodo di informazione già di per sé poco serio, è ancor più vile quando si rende
strumento di antipatia (specie nelle piccole città) ed il tarlo del dubbio su una notizia lasciata
volutamente imprecisa può diventare più dannosa di una certezza negativa ma dimostrata.
Si aggiunga ancora che la situazione attuale obbliga i sanitari a prendere rapporti col potere politico, e questo
talora può agire da cuneo in una compagine che già soffre per doversi dedicare a problemi che non gli
sono naturali.
Per questo viene spesso facile paragonare questi professionisti, penosamente impegnati in campi a loro estranei, ai
polli di manzoniana memoria.
Le diatribe, le spaccature, le inimicizie vengono allora cavalcate da medici "non più medici", che per agire
da politici dimenticano l'alta dignità e professionalità che loro conferisce l'arte esercitata,
abbassandosi al rango di miserabili cialtroni di portineria.
Anche questo aspetto va sottolineato, poiché il tenore di alcuni articoli va attribuito alle colpe di coloro
che, a vergogna della propria professione, dedicano forza e tempo a penosi intrallazzi estranei alla professione
medica.
Venendo ora al pratico, rivediamo alcuni casi riportati sui giornali locali.
Un settimanale di Pinerolo, riporta la vicenda, certo molto grave, nella quale un giovane uomo perdette la vita per
una patologia di competenza otorinolaringologica.
Vengono qui nominati due bravi e stimati specialisti che a detta dell'articolo sarebbero imputati quali
responsabili della morte del paziente. A parte le corbellerie che si riscontrano nella stesura dell'articolo, di
carattere anatomico ("cominciano ad aprirgli la carotide per intubarlo") e terapeutico (il cortisone non sarebbe
indicato nella terapia dell'edema della glottide), quale sarà l'impressione ricavata dal lettore al termine
della lettura dell'articolo? Quell'uomo è morto per negligenza o imperizia dei sanitari.
Tutti noi sappiamo che nessuno può essere ritenuto colpevole fino a quando la colpa non sia provata, ma
spesso per i sanitari si preferisce suggerire una forma di anticipo di giudizio, non suffragato ovviamente da
elementi certi.
Il processo avrà i suoi sviluppi, la responsabilità potrà o non potrà essere accertata,
gli imputati saranno o non saranno assolti, ma il discredito è fin d'ora in atto e non sarà una
eventuale successiva rettifica del giornale a restituire ciò che è stato tolto.
Il lettore spesso beve ciò che il giornale gli somministra e alla fine resta l'impressione pesante e
pericolosamente incompleta di ciò che è stato, anche se non provato.
Un altro esempio? Circa un mese fa, comparve su "La Stampa" un articolo nel quale uno psichiatra, dipendente
dell'USSL 43 lanciava pesanti accuse al Pronto Soccorso dell'Ospedale Civile Agnelli. Secondo questo, una paziente,
giunta al P.S. in seguito ad un incidente stradale, dove aveva riportato una frattura mandibolare, venne sottoposta
ad RX della colonna cervicale, ma il radiologo ed il medico di guardia non diagnosticarono la frattura di una
vertebra cervicale. Da accertamenti eseguiti sembrerebbe che tale frattura, con mezzi di diagnostica qui in uso,
non fosse visibile; la paziente, trasferita a Torino nella clinica Maxillo facciale, veniva sottoposta ad ulteriori
esami che evidenziavano la frattura del processo spinoso della vertebra interessata. Tale lesione non avrebbe
alcuna gravità e non potrebbe in alcun modo rappresentare pericolo di vita per la paziente.
La cosa è confermata ulteriormente dal fatto che anche la Procura avrebbe archiviato il caso.
Il suddetto medico inoltre calcava ancora la mano allargando il discorso sulla funzionalità del Pronto
Soccorso, con pesanti asserzioni che francamente non ci pare che questa struttura meriti.
Il medico dunque, assediato da un'opinione pubblica ostile, non raramente costruita ad arte, mortificato nella sua
professione dalle catene della riforma sanitaria, costretto a spartite le sorti di un contratto che lo obbliga alla
convivenza con dipendenti che nulla hanno a che vedere con esso, bistrattato dai giornali che paiono attratti da
tutto ciò che capita in campo sanitario come le api dal miele, dovrebbe poter dimenticare tutto e serafico
ed olimpico esercitare, al massimo delle sue possibilità, la sua professione.
Il diritto alla salute, l'imperativo categorico allo "star bene" si gioca su chi questo può somministrare,
facendone non l'artefice ma lo strumento.
Parrebbe proprio di poter dire, ora basta!
Poiché, se anche una delle supposizioni di malafede, di ostilità preconcette, di precostituita lotta
ad una classe che per operare necessita di libertà di pensiero, di astio nei confronti di chi, grazie
all'arte che esercita può diventare per un momento artefice del destino di chi si affida alle sue cure,
allora sarebbe facile tacciare di delittuosa incoscienza chi esercita impunemente queste scelleratezze.
Eppure, poiché come disse giorni or sono, il Ministro Donat-Cattin, in occasione di una sua visita a
Pinerolo, con una delle sue rarissime battute felici che "a pensar male si fa peccato, ma si indovina", il dubbio
che in ciò possa esserci del vero ci amareggia e ci squalifica.
Dottor Orso
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